Dracula e il Settimo sigillo, che delusione!
Un’immersione nei grandi classici del cinema può rivelarsi una grande… delusione. Ebbene si: non sempre dietro ad un film osannato nei decenni si nasconde una pellicola universalmente apprezzabile. Due nomi su tutti: “Dracula di Bram Stoker” e “Il settimo sigillo”. Francis Ford Coppola e Ingmar Bergman perdoneranno una bocciatura su tutta la linea e lo stesso varrà per la folta schiera di fan che annoverano questi titoli tra le pietre miliari di Hollywood. Ma andiamo con ordine. Il film di Coppola conta su un cast davvero notevole: Winona Ryder, Keanu Reeves, Gary Oldman, Anthony Hopkins… Anche il soggetto di partenza, cioè le vicende del conte più famoso del mondo, lasciano sperare in un’avventura quasi epica. Infine, i sentimenti: l’amore che unisce a dispetto delle distanze, del tempo e della morte. Ebbene, mischiando questi ingredienti non si ottiene il capolavoro che ci si potrebbe aspettare.
Il film è del 1992, eppure gli effetti speciali sono inadeguati. I dialoghi privi di brio. Le scene scollegate l’una dall’altra. L’amore profondo e viscerale che Mina, la protagonista, prova per Dracula appare insensato più che innato. Il povero Reeves, nei panni del fidanzato e poi marito di Mina, non ha né la forza né l’appeal necessari per lottare per questo amore che dovrebbe rappresentare il filone principale della storia. Da apprezzare sicuramente la colonna sonora, tra cui spiccano “Love song for a Vampire” di Annie Lennox e “Love remembered”. Questa perentoria bocciatura stona ovviamente con i premi ricevuti dalla pellicola, anche se in effetti gli Oscar di quell’anno hanno visto ben altri trionfi (“Gli Spietati” e “Profumo di donna” per i premi principali) premiando Dracula solo per i costumi, le scenografie e il montaggio sonoro.
La delusione prosegue quando si parla del film di Bergman. La partita a scacchi tra la morte e il protagonista Antonius è datata 1957, ma i 96 minuti in cui si dipana la storia non rendono giustizia ad un periodo cinematografico che va particolarmente apprezzato (Billy Wilder e Alfred Hitchcock non hanno bisogno di presentazioni). Se ci si aspettano pathos e azione, beh non arriveranno. Si troveranno piuttosto tanta introspezione, metafore criptiche sulla “caducità della vita” e sul rapporto con Dio, versi biblici e riflessioni esistenzialiste. Se parlare di noia può sembrare un insulto alla lunga carriera di Bergman, si può senz’altro cercare qualche sinonimo più rispettoso.